domenica 13 ottobre 2013

Recensione SPACE ODYSSEY - TEARS OF THE SUN


Bambino prodigio nato a Ystad, paesino svedese con poco più di diciottomila anime, il piccolo Richard Andersson aveva da poco spento le sette candeline quando - imparando dal padre organista - cominciò a suonare musica classica. Il primo progetto musicale di Andersson ha il nome di Majestic ed è datato 1998: alla realizzazione dei primi album in studio avrebbero fatto seguito tour in Giappone, collaborazioni con band francesi (Adagio) ed altri progetti ancora, tra i quali Time Requiem e Space Odyssey. Quest’ultimo, in particolare, fu pensato insieme all’amico e virtuoso chitarrista Magnus Nilsson (da non confondersi con il connazionale Karlsson recentemente autore dell’ottimo Freefall): ai due, che si conoscevano dai tempi dell’infanzia (fu proprio Magnus ad introdurre Richard alle sonorità rock/metal), bastò un pranzo per decidere di suonare qualcosa insieme, complice la stima di Richard che non ha mai mancato di descrivere l’amico come uno dei migliori chitarristi con i quali abbia mai suonato, riconoscendogli un eccellente senso per la musica "spesso manifestato attraverso l’utilizzo del vibrato". Il risultato della collaborazione doveva rappresentare un mix di prog-metal ed influenze classiche tra le quali Black Sabbath, Whitesnake, Rainbow e Malmsteen, e doveva essere in grado di fondere melodia e tecnica, precise geometrie scandinave e spunti di classe sgorgati dall'estro di musicisti dal talento indiscutibile. Tears Of The Sun rappresenta la terza tappa del progetto Space Odyssey (dopo il debutto con Embrace The Galaxy e The Astral Episode) e saluta il subentro alla voce di David Fremberg (Andromeda) al posto di Nils Patrik Johansson (Astral Doors, Wuthering Heights). Colpisce la facilità apparente con la quale i musicisti scandinavi riescono ad assemblare progetti di questo genere, rimescolando carte e line-up, attingendo da una lista apparentemente infinita di potenziali ed entusiasti collaboratori: side-project solamente nel metodo di lavoro asincrono, senza nulla detrarre in termini di qualità, esperienze come quelle degli Space Odyssey utilizzano al massimo la possibilità di comporre e diffondere materiale online, condividere le idee, bilanciare gli apporti e moltiplicare i contatti per trovare, ad ogni occasione, i musicisti più adatti - o semplicemente quelli al momento disponibili - a salire sul carro. Se l'esistenza di una scena musicale in grado di favorire la collaborazione degli artisti e la loro voglia di imbarcarsi in nuove avventure costituiscono presupposti imprescindibili, la bravura degli stessi si evince anche dalla capacità, per nulla scontata, di consegnare una musica che simuli la chimica di un'intera band alle prese con la registrazione in studio. Spesso i dischi di questo tipo suonano impeccabili ma eccessivamente levigati, artificiali nelle distanze tra le loro stesse strutture, composti come splendide immagini che la perfezione aliena, vittime di Photoshop: per questo l'ascolto di Tears Of The Sun comincia con la voglia di identificarne il carattere e sondarne la verosimiglianza. Sono le tastiere seventies di Andersson a fare da onnipresente tappeto musicale al riffing di Bohemian Werefolf: l'ottimo Fremberg, graffiante e maturo, fornisce una vibrante prestazione alla Tony Martin (Headless Cross, 1989), capace di coinvolgenti aperture melodiche che contribuiscono con ulteriore autorevolezza alla riuscita della sua prestazione. Pregevoli assoli di chitarra (Dark Wings Of Universe, Bloodspill) ed un accompagnamento di batteria sempre presente e personale confermano un quadro di grande solidità, nel quale una singola idea di base viene arrangiata, sviluppata ed arricchita dal contributo di tutti: che si tratti di un coro (Killing The Myth), di una fucilata di doppia cassa o di un riffing più articolato, gli ingredienti di Tears Of The Sun sanno di già visto ma non di già sentito, tanta è la classe misurata con la quale sono amalgamati, variegati e riproposti. Il disco viaggia su tempi medi ed altri più rallentati, che metteranno subito a proprio agio - facendoli sentire a casa - gli amanti delle sonorità classiche (compresa una blueseggiante Miracles in Daylight) citate tra le maggiori influenze del duo alla base del progetto. Gli Space Odyssey dimostrano autorevolezza e coesione nel distendere i ritmi, soffermandosi su atmosfere rarefatte (già nella seconda traccia, Obsession), sulla cura del dettaglio, sulla precisione maestosa di una produzione in perfetto stile scandinavo che propone una potenza scorrevole e compassata, energica ma di una rotondità sempre accomodante. E' proprio la costante piacevolezza dell'album a distrarre l'ascoltatore dai suoi meriti compositivi: Tears Of The Sun ha infatti il difetto - tale solo in apparenza? - di suonare facile, mentre i suoi brani si susseguono in un fluire dolce, dall'acuto smorzato, dalla struttura ricorrente nonostante la diversa natura delle fonti alle quali Andersson attinge. Questa scelta viene dunque a contraddistinguere un ascolto gradevole al quale manca il senso della conquista, della scalata, della paziente schiusa delle sue intricate vicende. I brani, benchè tutti sontuosamente arrangiati, si prestano così ad una lettura univoca che ne riduce la capacità evocativa (ed a poco servono gli artificiali cori gregoriani di The Northern Silence, in una parte finale dell’album più scontata, che tende ad appesantirsi), facendo dell'ascolto un ottimo fine invece di un mezzo sfidante, capace come lo si vorrebbe di trasmettere anche altro. In questo risiede il limite della certosina levigatezza che contraddistingue un disco figlio di una progettazione attenta e conciliante, per il quale il termine progetto racconta la genesi a tavolino, lo spirito organizzativo internettiano, la collaborazione ordinata che unisce le professionalità piuttosto che comporre gli umani contrasti succhiandone l’energia immortale. Al meccanismo oliato del terzo disco degli Space Odyssey manca allora la scintilla, se non propriamente l’anima, forse anche l'ingenuità di un solo errore, per differenziarne in modo deciso l’esperienza e fissarne l'ascolto in un ricordo duraturo: Tears Of The Sun diventa un’opera da ascoltare piuttosto che da vivere, contemplandone il rigore formale senza lasciarsi veramente coinvolgere dai suoi ritornelli e nemmeno dagli episodi (come Awakening) che sembrerebbero possedere ambizioni comunicative più importanti. Nonostante il perdonabile limite, questo disco rimane un acquisto consigliato, sia per il prezzo accattivante al quale è ancora possibile trovarlo (€8,13 su eBay al momento in cui scrivo, spese di spedizione comprese) sia per l'apporto qualitativo che un Compact Disc del genere è in grado di donare alle discoteche di tutti gli amanti del metal melodico, politicamente corretto e derivativo ma con dignità.

[6]

Melodic Power Metal, 2006

Regain Records

Tracklist:
  1. Bohemian Werewolf
  2. Obsession
  3. Miracles in Daylight
  4. Killing the Myth
  5. Dark Wings of Universe
  6. Awakening
  7. Tears of the Sun
  8. The Northern Silence
  9. Bloodspill
Line-up:

David Fremberg (Voce)
Magnus Nilsson (Chitarra, Basso)
Richard Andersson (Tastiere)
Jörg Andrews (Batteria)

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