sabato 17 agosto 2013

Recensione COPPER - PRIMA STAGIONE



Approfittando delle ferie estive, e del servizio Sky On Demand appena arrivato in casa mia con l’installazione del nuovo decoder MySkyHD, ho potuto assaporare anch’io le gioie del binge watching, disciplina quasi-sportiva che si sostanzia nel fare una “maratona” di visione, ossia guardare cinque, dieci quindici puntate di seguito di una serie televisiva, possibilità fino ad ora riservata a chi scaricava (più o meno legalmente) tutti gli episodi di una serie da Internet o a chi disponeva di servizi come Netflix, negli Stati Uniti, o Mediaset Premium (disponibile anche su Xbox). I vantaggi del binge watching sono molteplici: la visione non è interrotta da spot pubblicitari e la fruizione di più puntate in successione permette di memorizzare meglio la trama, elemento tanto più importante in virtù dei numerosi intrecci sottotraccia utilizzati oggi per rendere le storie più interessanti e sfaccettate. Copper è una serie televisiva statunitense trasmessa dal 2012 sul canale BBC America e disponibile integralmente sul servizio di streaming offerto da Sky ai suoi abbonati: ho scelto di vederla incuriosito dall’ambientazione (siamo infatti negli anni 1860 a New York, durante la Guerra civile americana) e dalla trama incentrata sulle vicende di Kevin Corcoran, interpretato dal britannico Tom Weston-Jones, un poliziotto irlandese immigrato a New York. Ruotando attorno alla figura dell’ex pugile nominato detective al ritorno dalla guerra civile (conflitto che gli appassionati di retrogaming potranno rivivere giocando a North & South sul Nintendo Entertainment System), la serie filmata a Toronto racconta un’epoca in cui il confine tra crimine e giustizia era molto labile e bastava poco per far sparire le tracce di un omicidio. Ad aiutare Corcoran nella risoluzione delle indagini, e nella ricerca della moglie scomparsa durante la sua assenza in guerra, troveremo i due amici ed ex commilitoni Robert Morehouse (interpretato da Kyle Schmid) e Matthew Freeman (Ato Essadoh): quest’ultimo, in qualità di medico di colore alla prese con la discriminazione razziale, si cimenterà in rudimentali quanto ingegnosi metodi da polizia scientifica che anticiperanno, spesso destando curiosità nello spettatore, le modalità operative rese ormai celebri da serie moderne come CSI, Bones e naturalmente il nostrano RIS. Corky ed i suoi colleghi hanno un unico scopo: mantenere l'ordine nel quartiere di Five Points, zona malfamatissima che oggi corrisponderebbe idealmente all'area situata a metà strada tra Chinatown e il Distretto finanziario, all'incrocio tra Baxter Street e Worth Street. Il nome Five Points derivava dai cinque angoli del crocicchio principale e si pensa che le sue sudicie vie, dominate da varie gang tra loro rivali, abbiano conosciuto il più alto tasso di criminalità di qualsiasi quartiere dei bassifondi del mondo, rendendo quindi la circostanza particolarmente interessante per la produzione di un telefilm. Basti pensare che secondo le leggende newyorkesi nella Old Brewery (Il Vecchio Birrificio), un affollato edificio che ospitava fino a mille miserabili, si sarebbe verificato almeno un omicidio ogni notte per quindici lunghi anni, fino alla sua definitiva demolizione nel 1852. A subire il fascino degradato di Five Points e delle sue quotidiane violenze fu anche il regista Martin Scorsese, che dopo aver letto un saggio che ne descriveva la drammatica storia, decise già negli anni settanta di trarne un film, quel Gangs of New York interpretato da Leonardo DiCaprio, Daniel Day-Lewis e Cameron Diaz che sarebbe uscito nelle sale nel 2002.




E’ dunque in questo tumultuoso contesto, tuttora oggetto di importanti studi di archeologia urbana, che la storia di Kevin Corcoran si intreccia, a partire dall'anno 1865, con le ambizioni immobiliari di ricchi imprenditori, tensioni razziali tra immigrati irlandesi ed Afro-Americani, prostitute dal pragmatismo straordinariamente attuale, delitti da risolvere, tradimenti, contrattempi e fantasmi del passato, che lo porteranno alla ricerca di una moglie scomparsa e dell’assassino della giovane figlia. Creata da Tom Fontana (“Oz,” “Homicide: Life on the Streets,” “St. Elsewhere”) e Will Rokos (“Monster’s Ball,” “Southland”), la serie vanta un pedigree di tutto rispetto che include Barry Levinson (“Good Morning Vietnam,” “Rain Man,” “You Don’t Know Jack”) in veste di produttore, gli sceneggiatori Kyle Bradstreet (“The Philanthropist,” “Manhunt”) e Kevin Deiboldt (“Borgia,” “Ed”) ed il montatore David B. Thompson (“Rookie Blue,” “24″). Un’ambientazione azzeccata, una produzione importante (a cura di BBC America) e la scrittura opera di mani esperte assicurano a Copper un’infrastruttura solida, uno scenario credibile nobilitato da un’ottima fotografia, all’interno del quale le vicende di Five Points sembrano però continuamente interrompersi a vicenda ed accavallarsi con fretta, in modo ora disordinato ed ora casuale. Nonostante le dichiarate ambizioni socio-storiografiche (sull’interessante blog della serie si possono leggere numerosi contributi a cura di Daniel Czitrom, consulente storico), Copper si rivela in fin dei conti una colorata girandola di incastri forzati, tra personaggi divertenti ma spesso poco credibili (come quello di Annie, bambina cresciuta prima del tempo interpretata da una bravissima Kiara Glasco), delitti risolti più grazie al caso che alla deduzione e personaggi fatti scomparire frettolosamente nel giro di un paio di scene (come quello della prostituta Molly) e subito dimenticati. Le continue diramazioni prese dalla trama principale, tra rapporti incestuosi e lunghe scene melodrammatiche, non sembrano arricchire veramente il racconto quanto piuttosto distrarlo e diluirlo, affinchè diventi più difficile appurare una sostanziale povertà narrativa di fondo: alcune delle situazioni messe in scena dal telefilm si presterebbero ad approfondimenti maggiori, sia dal punto di vista della descrizione storica che da quello dello sviluppo dei personaggi (interessante il cenno alla fallibilità umana, ad esempio), mentre Copper sceglie, come nascondendosi dietro alla violenza grafica di molte scene, un approccio superficiale e disinteressato, usa & getta, descrittivo invece che introspettivo, evidentemente pensato e pre-digerito per il fugace consumo televisivo. Pur senza appassionare, la serie conta comunque su un’interpretazione discreta (Tom Weston-Jones viene inquadrato sempre dalla stessa parte, come nelle soap opera!) e riesce nonostante tutto a creare una simpatia ed un interesse per la facilità con la quale se ne segue l’intreccio narrativo, facilità alla quale fa da inevitabile contraltare la delusione per il modo in cui storie e personaggi sembrano liquidati per far spazio a nuove, e spesso trascurabili, trovate. Ecco, il prodotto di BBC America - che ne ha già confermato una seconda serie - può dirsi più un insieme di trovate, per loro stessa definizione veloci e superficiali, che non un progetto sviluppato in profondità: sviluppo orizzontale piuttosto che verticale, potremmo dire, che permette a costumi e scenografie di prendere sopravvento a macchia d’olio, secondo uno schema che fa comodo a tutti e pare perfetto per l’attenzione vacanziera dei binge watchers d’Agosto.

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Fonti

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