martedì 19 aprile 2011

Recensione | VICIOUS RUMORS - RAZORBACK KILLERS (2011)



Originariamente pubblicato su Metallized.it

Annunciati da una copertina che rappresenta una specie di pianeta a forma di stella ninja infuocata, prossima ad impattare la Terra come nella più rassicurante delle previsioni Maya, i Vicious Rumors del chitarrista e songwriter americano Geoff Thorpe, coronano con questoRazorback Killers una carriera che li vede sulle scene, con gli immancabili aggiustamenti di formazione, sin dal lontano 1979. Avevo sei anni, io. Dopo aver condiviso il palco con Metallica, Exodus, Motley Crue e Megadeth, la band costituisce un esempio, piuttosto ricorrente di questi tempi, di metal-act anagraficamente datato che, senza aver raggiunto il successo commerciale dei nomi appena citati, intende ribadire il proprio stato di salute e la capacità di rimanere musicalmente al passo con i tempi. Quattordicesimo disco in studio di questi alfieri del “US Metal”, Razorback Killers (specie di cinghiale introdotta in America nel sedicesimo secolo, a proposito) è un esempio interessante di diario artistico e professionale, summa di gusti ed influenze stratificate e reciprocamente intrise, di citazioni rispettose e sfrontati rimandi, forte di una produzione professionale e moderna che rappresenta l'ideale rete paracadute per queste dieci tracce di -onesto- equilibrismo musicale.


L’infuocata opener Murderball ricorda i Judas Priest di Painkiller, con meno tecnica: il bridge è alla moda e quasi growl, il ritornello lambisce coordinate melodiche tra Iron Maiden e metal di stampo più moderno (finiture di doppia cassa e voci effettate strizzano l'occhio con malizia), allaBloodbound per capirci; a sorpresa, il mix risulta ben riuscito e per nulla forzato, la musica scorre fluida e convincente (il gusto per la contaminazione è sublimato dall’assolo della guestEric Peterson dei Testament), e accresce la curiosità per quanto ci riserveranno i brani a seguire. Black parte lenta ed ottantiana, con certe atmosfere più da vinile che non da CD: monumentale nelle premesse, per un incidere pachidermico nella struttura ed allo stesso tempo esile nelle sfumature, si presenta come un racconto epico, per il quale potremmo scomodare iManowar. Nonostante la canzone tenda ad adagiarsi su un bridge poco musicale, quasi scolastico ed autoreferenziale, sono evidenti le influenze musicali della band, il rispetto che li fa trattenere dalla pura emulazione e lo sforzo per rielaborare un mix di sufficiente attualità. E' chiaro che i Vicious Rumors propongono un metal moderno dalle influenze classiche, una specie di heavy per le nuove generazioni, contemporaneo nei suoni ma colto ed ostinatamente radicato nelle citazioni, nei riferimenti e nel gusto. C’è voglia di profondità, e quasi un senso di sfida nei confronti dell’ascoltatore, incoraggiato a non farsi sedurre dalle sirene del ritornello immediato, nè della struttura più commercialmente diretta. Razorback Blade prelude ad un'alternanza di velocità tra le canzoni con un approccio tiratissimo, di concentrazione propriamente metal, quadrata come una Unforgiving Blade degli Hammerfall, ma a velocità doppia. Apprezzabili l’intrecciarsi delle chitarre di Thorpe e Morgan, e la metrica rafforzata nei punti giusti dalla potenza viscerale della doppia voce. Coinvolgente senza essere musicale, il brano è una bella ed ingenua espressione di potenza musicale, stringata come un biglietto da visita e corta come deve essere un Vulgar Display of Power di questo tipo. Blood Stained Sunday dipinge sulle note iniziali un cielo grigio e minaccioso, sotto il quale prende forma un altro episodio a cavallo tra trash e metal-for-the-masses, con un rimbalzare tra le epoche che finisce col confondere. Continuamente a cavallo tra le epoche, in una specie di Ritorno Al Futurodel metal, i Vicious Rumors rischiano di perdersi in una sorta di limbo, nel quale gli appetiti per il retrometal e l'heavy del ventunesimo secolo vengono timidamente solleticati, piuttosto che soddisfatti. Il gioco dei rimandi, eseguito con indubbia perizia, si rivela fresco ed originale ma solo durante i primi ascolti, costituendo un elemento apprezzabile fino a quando non si avverte la volontà di legare tra loro le varie costruzioni, alla ricerca di un filo logico.

Pearl Of Wisdom permette alla sua struttura dilatata di ospitare echi e melodie malinconiche, prova provata di un gusto e di una sensibilità che la band potrebbe esprimere con maggior convinzione. Un bel chorus, che immagino esaltato da un'esecuzione acustica, viene continuamente punzecchiato da chitarre incalzanti e piacevolmente indisciplinate, che proprio non ne vogliono sapere di lasciare il campo alla ballad: e così, scongiurato il rischio della canzone sdolcinata di metà tracklist, la canzone riesce a mantenersi intrigante, geometrica e giovanilmente sexy. Nel finale c’è anche il tempo per un’inaspettata deriva strumentale a velocità sostenuta, per mantenere quel tanto di ripetibile imprevedibilità e dinamismo che contraddistingue l’intera proposta musicale di questi ViciousAll I Want Is You è la classica metal-love-song, potente e melodica al tempo stesso, foriera nel giro di pochi secondi di istinti oscuri nel bridge e frasi amorevoli ai limiti della banalità (together we are free, there’s no limit, you’re the one) nel faticoso dipanarsi del chorus. Axe To Grind è di nuovo fast-and-furious, diretta e sbrigativa, quasi grezza, di una ruvidezza che mi ricorda l’approccio sfrontato di certe band scandinave dei primi anni novanta, vedi la seminale No Command degli immortali StoneLet The Garden Burn è perfetta per il contesto live, o per la guida nel traffico cittadino, anthemica ed aggregante, con le mani al cielo (o fuori dal finestrino) ad incontrarsi al ritmo di “Headbangers Everywhere”: mid-tempo sconclusionato ma divertente (chi ha detto Manowar?), è una canzone che al di là del merito artistico sa creare un momento, un’atmosfera, un accenno di calore senza particolari artifici, colto nella sua ruspante e chiodata attitudine. Deal With The Devil, evocativa come le luci dell’alba nelle note iniziali, è sotto sotto un mid-tempo sempre più annacquato e meno comunicativo nello svolgimento eccessivo. Rite Of Devastation è infine la riconferma delle tante anime che convivono in questo Bignami del metal, a cavallo tra trash, Maiden-classic e derive più tecnologiche.

Come tutte le operazioni di taglia ed incolla e, per di più, con l’aggravante di essere un esperimento a suo modo ben riuscito, considerare Razorback Killers una proposta spontanea e genuina è un atto di fede, la libera scelta dell'ascoltatore di allontanare il sospetto che il CD sia stato costruito a tavolino, per accontentare i vecchi fan e convincerne dei nuovi. Le diverse influenze continuamente smussate in modo da garantirne la pacifica coesistenza, non danno origine al pezzo di facile presa, al singolo, alla canzone che ti conquista da subito. Colto nel gioco dei rimandi, prevedibile nel continuo ed alternato cambio di tempo, perennemente in bilico, l’album ha comunque il merito di farsi ascoltare volentieri lungo tutto il corso della sua durata. Dardo finemente cesellato, ma spuntato, costituisce la buona prova di una band serenamente alle prese col processo fisiologico ed incolpevole dell'invecchiamento: rimane però il dubbio che un percorso musicale più mirato, meno aperto alle contaminazioni, avrebbe attirato meno fan, finendo però con l'accontentarli di più.


Voto: 73

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