mercoledì 20 aprile 2011

Recensione | SECRET SPHERE - SCENT OF HUMAN DESIRE (2003)


Originariamente pubblicato su Metallized.it

La copia in edizione limitata e numerata di Scent Of Human Desire in nostro possesso costituisce una riedizione, a cura della polacca Metal Mind Productions, del terzo album della band di Alessandria, all’esordio nel 2003 con la major Nuclear Blast dopo due uscite con Elevate Records. Attivi dal 1997, i Secret Sphere sono qui definiti “power metal heroes”, anche se le molteplici influenze che ne colorano gli sforzi musicali -da Dream Theater ad Helloween, con tutto quello che ci sta allegramente in mezzo- ne fanno una realtà più sfaccettata e sfuggente alle classificazioni. Il disco ben riflette queste pulsioni, queste spinte in direzioni tanto diverse, e lungo l’ora di ascolto non è sempre facile identificare la visione artistica perseguita dai piemontesi.


Classificare è di per sè impegnativo ed insidioso: l’idea di limitare, confinare, codificare, ordinare sembra infatti stridere con la libertà espressiva della quale l’artista dovrebbe poter godere. ISecret Sphere di otto anni fa sembrano però esasperare la volontà di fondere modern metal con parti classiche, di sensibilità tipicamente italiana, al punto che già dalle prime tracce si perdono i punti di riferimento: in un cantato che ricorda Vision DivineDomine e pure gli Starbreaker di Fabrizio Grossi, si confondono ritmiche aggressive e velleità sinfoniche, in un fluire a tratti disordinato e di gusto barocco, che difficilmente si traduce in un’espressione musicalmente compiuta. Nei 1,2 millimetri di spessore del compact disc è stipato un po’ di tutto, dal drumming con doppia cassa ad assoli di gusto spiccatamente heavy, cori quasi hard rock ed incaute atmosfere alla Smoking In The Boys Room, per un amalgama che -a volte bombastico e confuso nella riproduzione su disco- trova probabilmente nella sede live l’espressione ritmica più sanguigna e vitale. Virgin Street 69, ad esempio, è puro estratto di glam, ma di quel pacchiano italianissimo e tenero, cattolico e timido che non trasuda malizia, né sottile ammiccamento. I versetti femminili soft-core sono patetici, di una scontatezza -quella sì- imbarazzante, e fanno sorgere più di un dubbio su quello che i Secret Sphere hanno intenzione di fare con la loro innegabile capacità, e col nostro tempo. E poi ancora archi e cori, per celebrare la Festa dell’Addizione e l’improbabile accozzaglia che ne scaturisce, e per la quale non si avverte l’esigenza di scrivere a casa. 


Se a tratti sembra che la band trovi progressivamente un equilibrio, uno stato di forma che porta a contenere gli eccessi, a tralasciare l’ostentazione poliedrica ed a mirare al sodo, puntando ad una dimensione più europea che italiana, per contro brani come SurroundingDesireRunaway Train e Scent Of A Woman inducono a riflessioni ulteriori e sofferte su profondità, visione e maturità artistica. La prima è un mid-tempo variopinto, di matrice chiaramente metal ma sospeso tra le identità, con melodie corali anni settanta ed un inutile intermezzo prog che fa molto Area, incapace per mancanza di personalità di spiccare il volo e di trasformarsi in una forma di vita autosufficiente. È come se la canzone trovasse un suo percorso solo nel finale, un divenire sofferto che trova il suo significato negli ultimi istanti, e che fa dunque sorgere una perplessità sulle indecisioni dei primi minuti. Desire è una ballad svogliatissima e scontata, priva di ritmo e carente sotto tutti gli aspetti, e sembra quasi di percepire la noia dei musicisti nel suonarla.Runaway Train è invece indecifrabile, tra le atmosfere cinematografiche di Operation Mindcrime, slanci socialisti, mitragliate di doppia cassa, rassicuranti aperture tastieristiche ed assoli in allegro levare, affinchè il tutto non risulti troppo tetro o cavernoso. L’impressione è quella di un patchwork soffuso o solare, a tratti pimpantissimo o lagnosetto, poco coraggioso e raramente capace di toccare la corda giusta, umanamente più profonda ed autentica: molte canzoni superano inutilmente i cinque minuti, senza che il tempo concesso serva a scoprire qualcosa di più, e di diverso. 


Disco di continue premesse, e rare conclusioni, di ricerca e di indulgente transizione, Scent Of Human Desire è una bellissima crisalide, perfino unica nel panorama metal italiano, da valutare in prospettiva. Le canzoni proposte, così come sono, lasciano infatti poco spazio all’immaginazione, non sono evocative, tratteggiano senza creare la sfumatura, tentando accostamenti bizzarri ma poco convincenti. Più riuscita e diretta è Still Here, aggressiva ed oscura, veloce e coerente, tiratissima senza cali di tensione: i toni acuti dei chorus sono bilanciati da una strofa intrigante, da un bridge corale nei punti giusti che crea il pathos prima del ritornello. Ed ancora 1000 Eyes Show, che nonostante l’intro neomelodica italiana, è imprevedibile e sincopata, forte e delicata nelle anime che, avvicendandosi, la compongono. Il lavoro dei Secret Sphere può qui dirsi sinfonico, seppur disorganico, nell’ardito susseguirsi dei momenti musicali, nell’indugiare ruffiano per creare l’atmosfera, nell’approccio che troppo poche volte può dirsi davvero sobrio e asciutto: la bellezza fragile nella voce di Nadia Lanfranconi(More Than Simple Words) e l’alba luminosa nelle note nude di una chitarra classica (Walking Through The Dawn) sono piccole perle che emozionano e coinvolgono con misura, forti di un arrangiamento armonioso e funzionale, forti di una semplicità dalla quale bisognerebbe saper ripartire. Nell’assolo di Daylight, al contrario, si susseguono suggestioni a cavallo tra la devastante Crucify degli Almighty, i PFM e l’honky-tonky. Giusto per non farci mancare nulla. E dire che sarebbe così schifosamente semplice coltivare una sola idea, purché azzeccata, e girarci vorticosamente attorno.


Pur apprezzando la volontà della band di proporre qualcosa di diverso, rimane comunque il dubbio che l’ambito metal, pur con tutte le sue recenti contaminazioni e commerciali imbastardimenti, poco si presti a questo genere di derive. A confermare una certa confusione d’intenti citiamo la bonus track Kings Of Metal (Manowar): scialba, filologicamente troppo corretta, profondamente incompresa, e perfino noiosa nella versione tricolore. Inascoltabile, infine, la traccia segreta messa lì per motivi che sfuggono all’umana comprensione, e si perdono nell’allusività pericolosa delle sue risate campionate. 

Voto: 65/100

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