martedì 19 aprile 2011

Recensione | NIGHTMARE - ONE NIGHT OF INSURRECTION (2011)


Originariamente pubblicato su Metallized.it

One Night Of Insurrection è il secondo album live dei Nightmare, il primo immortalato da telecamere ufficiali. Arriva a suggellare una carriera trentennale che, tra l’altro, vide la band aprire nel 1984 per i Def Leppard di Pyromania davanti ad un pubblico di oltre 4000 persone. Celebrato il 31 Ottobre 2009 presso la Edmond Vigne Hall, al cospetto del pubblico amico della natia Grenoble, il concerto ripropone in prevalenza brani composti dal 2005 al 2009, periodo durante il quale il suono del combo transalpino è stato contaminato e rinfrescato da influenze power. 

L'intro è prevedibilmente coperta da applausi ed incitazioni e sembra quasi di vivere l'attesa e respirare l'eccitazione del pubblico per gli idoli di casa: tastiere siderali, di una luminosità cangiante da aurora boreale, finiscono impietosamente nello stesso pentolone insieme a rockers che rumoreggiano ed è una candida voce di bambino a zittirli, sulle prime note di Eternal Winter. Si avverte subito un iniziale sbilanciamento dei suoni, con la batteria relegata in seconda fascia e le due chitarre di Milleliri e Jess in evidenza. La canzone, di composizione recente, è un piacevole heavy-metal estremamente classico, di matrice ottantiana / Maideniana, algido quanto basta e ravvivato con timidezza da un drumming più groovy e con ispirati tocchi di doppia cassa; non propriamente coinvolgente, ma corale e ben innestato nella scontata rocciosità della canzone, il ritornello completa una dichiarazione d'intenti musicali che sembra fatta apposta per introdurci con fluidità alla successiva Wicked White Demons. Decisamente più carica, almeno nella strofa, la canzone subisce un perplimente arresto nel chorus, che tende ad adagiarsi in un'anacronistica lentezza, mentre un intelligente intreccio chitarristico sembra voler iniettare una miscela di Arch EnemyAt The Gates e Nevermore per ravvivare un quadretto altrimenti pacioso. Heretic si assesta su un classico mid-tempo: buono l'intrecciarsi delle voci a donare un minimo di dinamismo e tensione alla parte vocale; più scarsi, per resa dinamica ed ispirazione melodica i cori durante il ritornello, che sembrano applicati come toppe sui gomiti ed incapaci di risollevarlo da una rassegnata mancanza di convinzione. 

In attesa -vana- della killer song che sappia coinvolgerci per tutto l'arco della sua durata, si avverte la tendenza dei brani ad allungarsi inutilmente: compresi per la maggior parte tra i quattro ed i sette minuti, come a voler allungare il brodo, in una girandola di spunti fatta apposta per distogliere dal bersaglio. Il pubblico pare numeroso ed estremamente soddisfatto della performance, e per questo ci addentriamo con rinnovato entusiasmo nei meandri di Legions Of The Rising Sun: basta poco per realizzare che nelle premesse siamo davanti ad un metal roccioso, di quella quadratura prevedibile e perdonabile alla quale il genere ci ha abituato da quasi trent'anni. Il chorus però è poco ispirato, quasi decadente nella ricerca di un'affettazione di gusto tipicamente europeo. Peccato, perché le strofe sono interpretate con coinvolgimento, al punto che appaiono più riuscite le parti raccontate, di intermezzo, rispetto a quelle più musicali e suonate. Secret Rules sembra essere la canzone che aspettavamo: riffing potente, chitarre come scalpelli a scandire spezzare e scalfire, una strofa sognante ed arpeggiante, bridge in crescendo ed un ritornello che almeno ci prova; i risultati però confermano il fiato corto deiNightmare, che sul più bello perdono inesorabilmente in potenza e resa dinamica. Cominciamo a pensare che questo sia il gusto della band e che lo scalare delle marce sia voluto, quasi a voler rilasciare la potenza accumulata in modo più lento e graduale, teatrale, scenografico, diluito. Queen Of Love And Pain prosegue con granitica coerenza, con il drumming di David Amore che cerca disperatamente di ravvivare le cose (sembra evidente una sua formazione più moderna, di gusto power/death), senza che la struttura compositiva delle canzoni, a cavallo tra AOR a classic metal, gli accordi gli spazi necessari per esprimersi. Pur nel rispetto della scelta stilistica, le canzoni suonano oggettivamente prolisse e compassate, con assoli che si rivelano poco di più che competenti riempitivi in attesa di una scintilla che non scatta. Quello offerto dai metaller francesi è uno spettacolo al quale si assiste con piacere, perché professionalità ed affiatamento sono evidenti, senza tuttavia che venga innescata quella reazione istintiva di accompagnare la canzone con un coretto improvvisato, cantando parole a caso, o ticchettando il ritmo con qualsiasi cosa capiti per le mani. 

Le sirene di Three Miles Island introducono un altro momento potente, alla Bloodbound(compagni di etichetta, tra l'altro), ma un cantato poco melodico fa presagire la conclusione alla quale ci porteranno i francesi nel giro di qualche battuta: sollevato il coperchio finemente cesellato troviamo infatti un chorus filiforme e solitario, e la nostra insoddisfazione cresce come quella di naufraghi affamati davanti ad un raffinato piatto di nouvelle cuisine. Parimenti potentissima nelle premesse la successiva Cosmovisions, più semplice e diretta nell'accedere al chorus: efficace e longilinea, la canzone si spoglia degli orpelli, integra un coro di matrice gregoriana e mette a fuoco la potenza che la band riesce ad esprimere. Tutto benissimo? No, perché alcune imperfezioni di registrazione e fastidiosi sibili sono a mio parere inammissibili per un prodotto per il quale la casa discografica garantisce una "excellent audio quality". Target For Revenge si presenta lenta ed atmosferica e passa repentinamente ad un ritornellone corale e coinvolgente. Nonostante i ritmi non siano certo alti, la canzone gode di una coesione e di una fluidità inedite: peccato per la lunghezza di oltre sei minuti, infarcita fino alla nausea dall'assurdo reiterarsi di un ritornello piacevole, ma nulla più. The Gospel Of Judas è più moderna, con controcanti effettati e cattivi, ai confini del growl e pur mantenendo una buona velocità per tutta la sua durata paga qualcosa in termini di coesione, cadendo nel tranello di alcuni momenti davvero vuoti e piatti. Ci si avvia così verso la fine dell'album e si ha la sensazione che iNightmare, al di là del giusto tributo ad una carriera rispettabile, non abbiano più moltissimo da dire: The Winds Of Sin è il solito metal raccontato ed ingiallito, nel quale ancora una volta la potenza della sezione ritmica stride con l'impostazione conservatrice che un cantato stilisticamente pigro asseconda spesso & volentieri. Il contrasto, anche anagrafico, tra le due anime della band non sembra essere utilizzato in modo produttivo: altre realtà musicali hanno beneficiato dell'ingresso di componenti più giovani, penso a Dave Rude nei Tesla, ad esempio; nel caso dei francesi invece, la contaminazione non si traduce in un'amalgama ispirata. Si chiude con gli oltre sette minuti di The Watchtower, tra i fischi del pubblico che vorrebbe che il concerto non finisse mai. Anche in questo caso non si va al di là di un buon proposito, dal momento che nel corso della canzone troviamo assoli, cori, pause, screaming ed influenze eighties in una sorta di gran frullato che sembra voler accontentare, ed allo stesso tempo scontentare, un po' tutti. 

Voto: 65/100

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